Conflitto d’interessi o interesse nel Conflitto?

La nomina di Marina Calderone, Presidente del CUP (Comitato Unitario Professioni) e Presidente del CNO Consulenti del Lavoro, nel Consiglio d’Amministrazione di Finmeccanica pone una serie di considerazioni di natura giuridica ed etica.
Primo fra tutti il “conflitto d’interessi” la cui definizione non sempre è così chiara e immediata: dicasi conflitto d’interesse “il verificarsi di un conflitto che non costituisce di per sé la prova che siano state commesse, o che si possano commettere, scorrettezze: si tratta, tuttavia, di maneggiare un’agevolazione nel caso in cui si cerchi di influenzare il risultato di una decisione per trarne un beneficio”.
Sedere in Finmeccanica, quindi, proprio nel cuore di Confindustria, la stessa Confindustria che ci vorrebbe “liberalizzati” , a proprio uso e consumo, non è un’esperienza per palati delicati se chi lo fa è la stessa persona che è stata delegata a difendere interessi, credibilità ed etica di coloro che sono attaccati dello stesso organismo; per esemplificare, è come se il Presidente dell’Avis fosse chiamato a fare il Ministro delle attività produttive dal Presidente Dracula: siamo proprio certi che, per impedire che la Transilvania resti senza plasma, questi non conceda scorte ematiche?
Più di qualcuno ha gioito dell’incarico. Si è detto, si è scritto, che è il riconoscimento della professione e delle capacità dei Consulenti del Lavoro. Nell’intervista rilasciata in focus Economia di Radio 24 del 16/04/2014 Calderone dice che “è l’affidamento fiduciario ai professionisti”.
Credo che sia esattamente il contrario. Sarebbe stato un autentico riconoscimento professionale l’ ingresso di uno qualsiasi dei Consulenti del Lavoro nel Consiglio di Finmeccanica, poiché questo incarico sarebbe stato il riconoscimento di persona professionalmente competente e preparata. Altra cosa è l’ingresso del Presidente del CNO e del CUP. Con Marina Calderone anche Guido Alpa, Presidente Nazionale dell’Ordine degli avvocati, ha fatto ingresso nel CdA di Finmeccanica. Stupisce che l’Ordine degli avvocati non si sia ancora espresso sull’argomento. Solo lo scorso anno, le Sezioni Unite della Corte di cassazione avevano confermato un orientamento giurisprudenziale in tema di compatibilità fra la professione di avvocato e la carica di presidente di un consiglio di amministrazione di una società (nel caso di specie si trattava di praticante avvocato, ma le considerazioni giuridiche sottese alla decisione potrebbero essere le stesse).
Era avvenuto che il Consiglio dell’Ordine di appartenenza di un praticante avvocato aveva disposto la revoca dell’autorizzazione alla pratica forense in quanto, a modo di vedere di tale Consiglio, il rivestire la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitale avrebbe integrato la fattispecie di cui all’art. 3 del R.D. 1578/1933 applicabile, ratio temporis, alla fattispecie. Disposizione, questa, che al primo comma stabilisce: “L’esercizio delle professioni di avvocato e di procuratore è incompatibile con l’esercizio della professione di notaio, con l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto avente giurisdizione o cura di anime, di giornalista professionista, di direttore di banca, di mediatore, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o di incaricato di gestioni esattoriali”.
L’interessato aveva impugnato ma il CNF aveva ribadito la pronuncia del Consiglio dell’Ordine, sostenendo che la carica era di per sé fonte di incompatibilità con lo svolgimento della professione di avvocato e, di conseguenza, della pratica forense.
Le Sezioni Unite hanno evidenziato che il nuovo disposto normativo di cui all’art. 18 della l. 247/2012, laddove circoscrive l’incompatibilità fra professione forense e cariche sociali alle ipotesi in cui il soggetto sia titolare di effettivi poteri gestori, recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale: detto orientamento, appunto, esclude l’incompatibilità fra la professione forense e l’assunzione di cariche solo nel caso che queste siano prive di effettivi poteri di gestione o di rappresentanza. In sintesi, il praticante avvocato può sedere nel Consiglio d’Amministrazione della Società solo se nello svolgimento dell’attività di Presidente del Consiglio d’Amministrazione questi non è titolare di poteri di gestione o di rappresentanza. A leggerla così, L’Avv. Alpa si siede in Finmeccanica a scaldare la sedia?
Credo che, comunque, sarebbe opportuno valutare l’estensione anche ad altri professionisti del criterio dell’incompatibilità delle cariche: il Presidente di un Ordine Professionale, a livello provinciale o nazionale, o in altra connotazione, NON può assumere cariche che possano rappresentare un conflitto d’interesse. Ad esempio, il Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro non dovrebbe sedere nel CdA di Confindustria, Confcommercio, ecc.., o CGIL ecc. Le relazioni interpersonali che potrebbe tessere possono essere opportunità personali da coltivare, magari a discapito di altri colleghi. Allo stesso modo, proprio per evitare fidelizzazioni, la carica di Presidente non dovrà essere rinnovata per più di due mandati.
Nel frattempo, Marina Calderone, alla conclusione del terzo mandato quale Presidente del CNO, si sta per ricandidare al quarto mandato, dimenticando quando a suo tempo si era parlato di Rinnovamento e si era detto “mai più di 2 mandati” e “mai più conflitti d’interessi”. Ma questa è un’altra storia, tutta fra le mura dei CdL, che spero alla prossima vicina tornata elettorale possa trovare una voce.